A cura di Germano Marchetti, Domenico Ungheri
Verso la fine dello scorso anno 2002 è stata segnalata nella provincia del Guangdong nel sud della Cina l’ insorgenza di una vera e propria epidemia (circa 300 casi) di una forma di polmonite atipica molto grave e di eziologia sconosciuta.
La forma, altamente contagiosa, sembrava colpire particolarmente gli operatori sanitari ( medici e infermieri ) ed i loro famigliari, e nei primi mesi del 2003 ha cominciato a diffondersi anche al di fuori della Cina mettendo in allarme l’Organizzazione Mondiale della Sanità ( WHO ) e in genere i Ministeri della Sanità di tutti i paesi che hanno messo in atto misure di sorveglianza alle frontiere e negli aeroporti.
La malattia è stata denominata : sindrome acuta respiratoria grave, in inglese severe acute respiratory syndrome ( SARS ), (1,2,3)
Nella città di Hong Kong dove sono stati ricoverati in Ospedale numerosi casi tra cui alcuni medici con diagnosi sicura o sospetta di SARS, sono state chiuse alcune scuole e tenuti in isolamento più di 180 studenti parenti di medici e infermieri dell’ospedale che erano stati contagiati (2). Anche il direttore dell’Ospedale di Hong Kong che sovrintende anche altri Ospedali e cliniche della città, è stato ricoverato con diagnosi sospetta di SARS.
L’isolamento del virus che causa la SARS rappresenta ovviamente uno dei passi fondamentali per la lotta contro questa epidemia, ma fino ad ora sono stati raggiunti solo risultati preliminari anche per quanto riguarda un possibile test diagnostico.
Un virus sembra sia stato isolato nei laboratori di microbiologia dell’Università di Hong Kong. Secondo i medici del National Microbiology Laboratory di Winnipeg ( Canada ) nel cui Ospedale è deceduto il terzo malato di SARS diagnosticato in questo paese, test genetici avrebbero rivelato la presenza di un metapneumovirus umano nei campioni liquidi biologici ottenuti da 6 pazienti ricoverati e studiati.
Il metapneumovirus fa parte della famiglia dei paramyxoviridae e può essere anche l’agente causale di alcune malattie di media gravità quali il morbillo, la parotite, la polmonite, e perfino della comune influenza.
Gli scienziati pensano perciò che il virus abbia subito una mutazione e sia divenuto assi più virulento per l’uomo.
E’ stata perciò formulata la ipotesi che l’aumento di virulenza possa essere il prodotto della interazione del virus con un altro agente infettivo, la Chlamidia pneumoniae.
Qualora tale ipotesi venisse confermata taluni antibiotici potrebbero risultare efficaci, e, tra questi, un recente lavoro indica il Tiamfenicolo come uno dei più attivi (3) .
Malgrado la gravità e la forte contagiosità della SARS, almeno inizialmente, la mortalità non è apparsa elevata: in base alle prime statistiche effettuate su un primo gruppo di circa 2300 pazienti non ha superato il 3% circa mentre nella polmonite pneumococcica la mortalità è all'incirca del 9%.
Dal punto di vista clinico nei primi 10 soggetti colpiti (1,2) è stata riscontrata una sintomatologia con febbre, brividi, tosse, malessere generale, dolori muscolari, cefalea e dispnea, che nei casi più gravi si accentua fino alla insufficienza respiratoria.
I dati di laboratorio non sono apparsi indicativi: si sono riscontrate in genere una lieve leucocitosi, un lieve aumento delle transaminasi ed una normale saturazione in O2 del sangue arterioso.
In altri casi, al contrario, si osserva leucopenia a volte associata a piastrinopenia e a modesta ipossiemia.
L’esame obbiettivo ha dimostrato la presenza di zone di ottusità in genere alla basi polmonari, e rantoli su tutto l’ambito.
L’esame radiologico del torace è stato assai più indicativo e ha dimostrato quasi costantemente zone più o meno ampie di opacità per lo più alle basi polmonari senza segni di versamento pleurico o presenza di linfoghiandole nel mediastino (1).
L’esame microbiologico dell’escreato non ha messo in evidenza la presenza di virus conosciuti ( sono stati indagati virus influenzali A e B, virus parainfluenzali, adenovirus, virus sinciziali ) o di batteri. Pertanto l’ipotesi dell’associazione tra virus e batteri non è stata confermata e quindi l’origine microbiologica della SARS sembra a tutt’oggi sconosciuta.
Inizialmente i pazienti sono stati trattati per alcuni giorni con antibiotici ( betalattamici, macrolidi ecc.) che sono risultati del tutto inattivi.
La terapia, del tutto empirica, con corticosteroidi ed il farmaco antivirale ribavirina, (quest’ultimo somministrato per os e per via endovenosa), è stata seguita nella maggior parte dei pazienti dalla regressione della sintomatologia e dalla guarigione (4).
Questi risultati sembrano confermare che l’agente causale della polmonite anomala può essere un virus nuovo, forse della famiglia dei CORONAVIRUS (15). Il virus potrebbe essere verosimilmente originato nell’organismo di taluni animali e successivamente andato incontro a mutazioni tali da renderlo altamente patogeno per l’uomo (4). Questo virus sembra sia stato già isolato e, secondo l’OMS, nel giro di qualche mese, potrebbe essere pronto il vaccino specifico.
Le infezioni respiratorie virali sono estremamente comuni ed è noto che possono facilitare le riacutizzazioni di altre malattie respiratorie quali l’asma e la COPD.
Il ruolo degli ossidanti e, in particolare, dei radicali liberi dell’ossigeno nella risposta infiammatoria che si osserva nelle infezioni virali, è stato riconosciuto solo recentemente ed è stato studiato in particolare, il ruolo dello stress ossidativo in relazione con le comuni infezioni virali quali la influenza e le infezioni da rinovirus (5).
Lo stress ossidativo sarebbe originato in gran parte dai radicali liberi dell’ossigeno prodotti dall’accumulo di cellule infiammatorie ( leucociti e macrofagi ) nelle vie respiratorie e dalle alterazioni delle risposte immunitarie dell’organismo (5,8,9).
Studi su animali indicano che lo stress ossidativo interviene pesantemente nelle infezioni virali sperimentali.
Ad esempio, la somministrazione intranasale di virus influenza di tipo A nel topo provoca una grave infezione delle vie respiratorie che si accompagna ad una serie di effetti sistemici quali perdita di peso, alterazioni dei gas del sangue, e morte nel giro di pochi giorni (6).
Nel corso di questa infezione, i macrofagi ottenuti mediante broncolavaggio producono forti quantità di radicali liberi, in particolare anione superossido, mentre sono diminuite significativamente nelle cellule dell’organismo dell’ospite, le difese antiossidanti quali il glutatione, l’ascorbato e l’alfa-tocoferolo.
Gli omogenati di polmone, in questo modello sperimentale, contengono elevate quantità di xantino-ossidasi che a sua volta sintetizza attivamente l’anione superossido.
Questi dati indicano che l’infezione da virus influenza, come, verosimilmente molte altre infezioni virali, è associata con un forte stress ossidativo specie a livello polmonare (6). In questo modello sono stati studiati gli effetti di N-acetilcisteina ( NAC ), noto antiossidante diretto e precursore di Glutatione.
I topi del gruppo placebo sono tutti morti, mentre i topi che hanno ricevuto NAC per via orale ( 500 mg/kg x 2 /die, dal giorno -1 al giorno +8, rispetto all’infezione ; oppure dal giorno 0 al giorno +8 ) sono sopravvvissuti in proporzioni varianti tra il 45% (schema -1, +8) e il 27% (schema 0, +8).
Nel liquido di broncolavaggio dei topi infettati e non trattati sono state riscontrate forti quantità di xantina-ossidasi e di TNF. La xantina-ossidasi sembra avere un ruolo patogenetico nel produrre in corso di influenza, elevati livelli di radicali liberi.
Il TNF provoca edema polmonare per aumento della permeabilità della membrana alveolo-capillare.
L’effetto protettivo della NAC è verosimilmente dovuto alla sua capacità di inibire la produzione di TNF e di neutralizzare i radicali liberi prodotti dalla xantina-ossidasi, grazie all’effetto antiossidante. In un secondo e più recente lavoro (7), utilizzando lo stesso modello di infezione da virus influenza nel topo, sono stati studiati gli effetti della NAC da sola ed in associazione ad un noto farmaco antivirale, la ribavirina. In questo lavoro è stato utilizzato uno schema differente dal precedente (1000 mg/Kg x 1/die, con inizio 4h dopo l’infezione e per 4 giorni consecutivi) in maniera da evitare l’effetto protettivo esercitato dalla NAC, quando somministrata da sola con schema preventivo e per più giorni, e per poter mettere in evidenza un eventuale effetto sinergico con ribavirina. I risultati hanno dimostrato che nei topi infettati e non trattati la sopravvivenza è stata del 28% e non è stata modificata dall’aggiunta di N-acetilcisteina ( sopravvivenza del 25% ).
La sopravvivenza è aumentata invece fino al 58% in seguito al trattamento con la sola ribavirina (100 mg/Kg i.p.) e fino al 98% quando alla ribavirina è stata associata la NAC.
Questi dati dimostrano che la terapia antiossidante con NAC è in grado di raddoppiare la sopravvivenza dei topi infettati con dosi letali di virus influenzale e ciò sembra dovuto verosimilmente, sia al miglioramento delle difese immunitarie contro il virus, sia all’effetto antiossidante diretto (5,8,9).
La NAC è stata introdotta in terapia negli anni 60 come farmaco mucolitico per la sua capacità di rompere i ponti disulfidi dei complessi proteici del muco e quindi di depolarizzare le molecole della mucina. Più recentemente è stato scoperto che la NAC, somministrata a dosi più alte, diviene un potente farmaco antiossidante sia in quanto è il precursore del glutatione ridotto ( GSH ) che costituisce uno dei principali meccanismi intracellulari di difesa verso agenti tossici di varia natura, sia perchè la NAC essendo dotata di un gruppo sulfidrilico libero è quindi anche in grado di svolgere un’azione diretta “scavenger��? nei confronti dei radicali liberi dell’ossigeno al di fuori dell’ambiente intracellulare.
Pertanto la NAC può venire utilizzata in numerose condizioni patologiche nelle quali lo stress ossidativo abbia un ruolo importante, quali la bronchite acuta e cronica, la sindrome da distress respiratoria acuta ( ARDS ), e molte affezioni cardiovascolari (7,8).
Recentemente è stato dimostrato chiaramente non solo nell’animale, ma anche nell’uomo che la frequenza e la gravità della infezione influenzale e della sua sintomatologia possono venire attenuate dal trattamento a lungo termine con N-acetilcisteina (5).
Lo studio è stato effettuato su 262 soggetti di ambo i sessi, quasi tutti di età superiore a 65 anni e sofferenti di malattie croniche degenerative non a carico dell’apparato respiratorio, che sono stati divisi in due gruppi con sequenza randomizzata e sottoposti ad un trattamento preventivo a lungo termine (6 mesi) o con placebo oppure con N-acetilcisteina alla dose di 600 mg 2 volte al giorno.
Lo scopo dello studio è stato quello di valutare l’ efficacia della N-acetilcisteina, somministrata per via orale durante la stagione invernale, nel prevenire l’ incidenza e nell’attenuare la gravità degli episodi influenzali in generale, e, in particolare degli episodi di influenza causata da virus A/H1N1.
Altro obiettivo dello studio è stato quello di valutare gli effetti del trattamento con N-acetilcisteina sulla immunità cellulo-mediata.
I risultati hanno dimostrato che la frequenza e la gravità degli episodi influenzali sono state significativamente inferiori (p=0,0006) nei pazienti trattati con N-acetilcisteina (29%) che non in quelli trattati con placebo (51%).
I risultati dimostrano quindi che il trattamento con N-acetilcisteina è in grado di svolgere un marcato e significativo effetto protettivo sia verso la sintomatologia locale come la coriza, la rinorrea, la faringite, la tosse ed il catarro, sia verso la sintomatologia generale come l’astenia, la cefalea, e la sintomatologia dolorosa dei muscoli e delle articolazioni.
Inoltre gli episodi influenzali, che si sono verificati nei 262 soggetti durante la stagione invernale, sono risultati oltre che meno numerosi, anche di durata significativamente minore nei soggetti trattati con N-acetilcisteina.
La immunità cellulo-mediata valutata mediante una cutireazione realizzata con 7 diversi antigeni, ha dimostrato che tra l’inizio e la fine dello studio, nei soggetti trattati con NAC la frequenza dei pazienti in condizioni di anergia si è ridotta, mentre è significativamente aumentato il numero dei pazienti normoergici. Al contrario nel gruppo dei soggetti trattati con placebo non si è registrata nessuna modificazione tra l’inizio e la fine dello studio tra il numero dei soggetti anergici, ipoergici e normoergici.
Questi dati rappresentano una conferma a livello clinico, delle evidenze sperimentali riguardanti le proprietà immunomodulanti della NAC ( 8,9,10,11). Inoltre è noto che la NAC svolge un ruolo di regolazione del sistema immunitario modulando la produzione e la liberazione di citochine (12) in particolare, nel caso del TNF, la cui eccessiva produzione contribuisce all’effetto citotossico, sia localmente, sui tessuti infettati con il virus, sia sui sintomi generali (12,13,14).
Conclusioni
- 1) Nelle infezioni virali in genere e, verosimilmente anche nella patogenesi della SARS lo stress ossidativo gioca un ruolo importante
- 2) L’aggiunta di un farmaco antiossidante attivo e non tossico come la NAC alla terapia antivirale e cortisonica della SARS è sicuramente auspicabile
- 3) I risultati ottenuti negli studi sperimentali (3) e clinici (2) che hanno dimostrato che la NAC svolge un sicuro effetto terapeutico e preventivo sulle infezioni da virus influenza, permettono di prospettare l’impiego della NAC anche su altre infezioni virali nelle quali lo stress ossidativo costituisce presumibilmente un importante fattore patogenetico.
BIBLIOGRAFIA
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